mercoledì 10 novembre 2010

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Ritrovare quello sguardo

Ritrovare quello sguardo
di Maria Grazia Giannichedda


Nei primi anni ’70, l’ospedale psichiatrico di Sassari, come molti manicomi italiani dell’epoca, era un posto terribile ma pieno di idee nuove, di esperienze generose, di speranze e prospettive. Dopo il durissimo sciopero degli infermieri nell’inverno del ’72, con i titoli dell’Espresso “Sassari, la fossa dei serpenti” e la visita di Franco Basaglia, la Provincia di Sassari aveva avviato una sorta di gemellaggio con quella di Trieste, dove lavorava Basaglia e dove erano andati per periodi di formazione gruppi di medici e infermieri. Le innovazioni cominciarono così a essere incoraggiate e nonostante opposizioni, resistenze e paure che venivano soprattutto dall’alto, in breve tempo cambiarono molte cose e il muro che divideva il manicomio dalla città anche a Sassari cominciò a incrinarsi. Alle feste, alle mostre, ai concerti che si facevano a Rizzeddu partecipavano tante persone, ai convegni sulle alternative al manicomio non c’erano solo operatori, i medici dirigenti e gli amministratori dicevano di sostenere il cambiamento.  
Cercavamo, con gli studenti del Laboratorio di cittadinanza, testimoni e documenti di quegli anni. Quando è riemerso lo sguardo del fotografo francese senza nome, le sue foto e la loro storia hanno affascinato tutti ma ci hanno anche consegnato due compiti non da poco. Uno, forse il più facile, è quello di ritrovare il nome di questo fotografo, la sua storia e lui stesso. L’altro è quello di ritrovare quello sguardo che una parte della società, certo minoritaria ma tutt’altro che irrilevante, ha indirizzato per molti anni verso il manicomio e i suoi sintomi, stimolata da operatori che volevano cambiare. Oggi rischiamo di non saper più riconoscere quei sintomi, o forse guardiamo altrove per disperazione o convenienza.  

   

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